Partiamo col dire che già di per sé questo termine è ormai da considerarsi paragonabile ad una parolaccia. Non a caso è una delle 4 parole che compongono l’acronimo della PNRR. Se la usano i politici vuol dire che nasconde sicuramente una fregatura.
Originariamente rappresentava solo la proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi.
Poi, siccome ormai molti esseri umani sono equiparabili ad oggetti inerti, si è pensato bene di usare questo termine per indicare la capacità di resistere e di reagire di fronte a difficoltà, avversità, eventi negativi e così via.
Per usare una metafora potremmo dire che il resiliente è un coraggioso pugile che tiene la guardia bassa e sta fermo a pigliare dei gran cazzotti, nella speranza che l’avversario prima o poi si stanchi e smetta di menarlo. Ma non fa nulla di concreto per evitare che i pugni arrivino.
Viene spesso osannata come virtù, soprattutto da chi in realtà vuole solo sfruttare la buona volontà e la disponibilità di qualcun altro.
I formatori motivazionali, complici di questa manipolazione, convincono ignari lavoratori a sentirsi eroi, nel caso decidano di immolarsi in nome della resilienza.
I politici la pretendono dai cittadini come dimostrazione di attaccamento alla patria o per mettere a posto i casini creati da loro.
In alcuni rapporti malati di coppia il resiliente deve accettare passivamente le angherie del partner, in attesa che finalmente quest’ultimo cambi. Cosa che non accade praticamente mai.
In virtù di quanto sopra detto possiamo dunque affermare che l’osannazione della resilienza è l’ennesima fregatura di stampo politico/culturale, usata strumentalmente per costringere le persone a sacrifici non dovuti, o per sopperire alle mancanze di inetti che non si vogliono assumere le proprie responsabilità.