Cotzata #24: Coerenza o buon senso?

Capita molto spesso nella vita professionale di dover fare una difficile scelta: restare “coerenti” con quelli che sono i propri valori o le proprie idee, oppure perseguire azioni dettate dal cosiddetto “buon senso”.

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Un esempio classico, che spesso devo gestire all’interno di aziende a conduzione famigliare, è il seguente: figlio del titolare, il quale vorrebbe svolgere un’attività diversa da quella svolta dal padre, ma più affine ai propri talenti. Magari il padre è leader nella produzione di bulloni e lui vorrebbe fare l’artista.

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Il “buon senso” vorrebbe che il figlio proseguisse l’attività paterna, magari sana e redditizia, piuttosto che intraprendere qualcosa di incerto. Rimanendo invece “coerente” con se stesso dovrebbe rinunciare all’opportunità che il padre gli dà, rischiando l’incerta professione artistica.La fregatura sta nel fatto che qualsiasi decisione prenderà il figlio alla fine deluderà qualcuno. Nel primo caso deluderà se stesso e nell’arco degli anni potrebbe essere vittima di rimpianti, nel secondo probabilmente deluderà le aspettative paterne rischiando di avere in futuro molti rimorsi. Due sentieri opposti ed entrambi difficili da percorrere.

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L’unica chiave sarebbe quella di affrontare la situazione cambiando paradigma, ovvero uscendo da un approccio legato alle “giuste azioni da fare”, concentrandosi invece sul “vero motivo per cui si vogliono fare quelle azioni“.
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Al padre andrebbe domandato: “Perché vuole che suo figlio prenda in mano l’azienda?
E lui probabilmente risponderebbe “Perché voglio che abbia un futuro sicuro, perché ho fatto tutto questo per lui!
Quindi emergerebbe una presunta volontà del padre di volere “il meglio per il figlio” senza aver mai chiesto al figlio cosa lui vuole davvero per se stesso!
Al figlio invece bisognerebbe domandare: “Cosa ti spinge a voler fare qualcosa di tuo e non assieme a tuo padre
E lui potrebbe rispondere: “Perché io non voglio fare la sua vita, per me lui è un fallito!” dichiarando quindi di avere una diversa concezione di successo o felicità.
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Come è facile comprendere il vero problema è altrove, ed il passaggio generazionale in azienda non è altro che il “campo di battaglia” per questioni che nulla hanno a che fare con l’azienda stessa.
Il vero obiettivo sia del padre che del figlio dovrebbe essere quello di comprendere ciò che davvero porta serenità e soddisfazione ad entrambi, a prescindere dalle azioni che decideranno di fare.

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Comments:

  • F. S.

    Qual’e’ la prospettiva se un figlio che (per anni) ha sempre asserito di non voler lavorare nell’azienda di famiglia, cambia idea e vi entra solo per la brama di prestigio e potere che vede nella figura del massimo Dirigente.? Ne pretende ed ottiene il ruolo non per merito ma per “maschilismo”. La prima azione che mette in atto è “disfarsi” o demansionare i precedenti Dirigenti (i più validi, al comando di aree strategiche x l’azienda), probabilmente per non dover sostenere, con essi, dei confronti i quali risultati paleserebbero che egli deve necessariamente fare gavetta e acquisire le competenze delle quali è carente (es.: Psicologia e gestione delle risorse umane, Sicurezza sul lavoro, competenza nell’attività, ecc.). La seconda cosa che fa è: “detenere” il proprio “potere” facendo ostruzionismo a tutte le compagini aziendali e nascondendo informazioni, eventi, ecc. perché “reso forte” dalla manipolazione che ha operato sul fondatore., il quale ha troppo investito “emotivamente” su egli per poterne accettare i limiti e la diversità da se stesso.

    Rispondi 12/12/2019 at 20:25

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